Tutto cambia ormai vorticosamente, figurarsi com’è cambiata una città sulla cresta dell’onda come Bangkok. In 40 anni, la metropoli thai ha davvero mutato pelle. Ed oggi, nonostante per il nuovo venuto l’impatto iniziale non sia dei migliori, ci si vive meglio. Pareva dovesse sprofondare, per esempio. Ricordo una mia vecchia inchiesta degli anni 80 sulle vie d’acqua di questa Venezia dell’est, che verteva sui klong, i canali di cui era cosparsa all’origine, e che poi inesorabilmente erano stati coperti dal cemento. Invece, in qualche modo, anzi in molti modi diversi, Bangkok ha rialzato la testa. Ed oggi prospera.

Almeno 10 milioni di abitanti tutti i giorni, più un milione di turisti, diplomatici, e uomini d'affari stranieri, apparentemente tentacolare, la metropoli thailandese anche una città straordinaria, ricca di fascino e di verde, dinamica e bellissima. Vera capitale regionale del sud est asiatico, centro nevralgico dello sviluppo, Bangkok è l'unica grande città di un paese che non ha mai subito una dominazione coloniale.

Pareva dovesse soffocare nel traffico, già negli anni 70 ed 80 le strade erano poche e troppo strette per il numero di autoveicoli. E invece il traffico resta intenso, a tratti piuttosto pesante, ma scorre. Non come in altre capitali del sud del pianeta in questi anni, ormai paralizzate. A Bangkok sono state aggiunte nei decenni diverse expressways, una sull’altra, superstrade sopraelevate che spesso si attorcigliano tra loro: altro che gli svincoli micidiali di Genova cantati da De Gregori, qui sembra di essere in una Blade Runner appena ingentilita. Le expressways di Bangkok sono tratte urbane a pagamento, che per qualche euro di pedaggio tagliano via fette della città altrimenti impassabili. Un pugno nell’occhio dal punto di vista paesaggistico per l’europeo colto e abituato bene, ma risolvono.

Mototaxi a Bangkok. Spesse volte l'unico modo di aver ragione del traffico. Foto Renzo Garrone

Qualche anno fa un tassista loquace rispondendo a una mia domanda “come facevate prima delle expressways?”, “Can’t go out”, rispose lapidario col tipico pragmatismo di chi vive qua in mezzo – non si poteva neanche più uscire. Le superstrade urbane sono state una mano santa, per dirla alla romana. Altro che storie. Certo, l’effetto Blade Runner, quello un po’ angosciante delle metropoli multistrato anticipate dai film di fantascienza, è garantito. Ma in realtà la città funziona. Ed al di là delle giungle d’asfalto spesso torna paese, un luogo vivibile, anche perché, nonostante le asprezze che risiedervi comporta, offre grandi opportunità lavorative. Ma comunque, sono le scelte compiute che hanno contribuito a decongestionarla. Perché accanto alla viabilità su gomma, la chiave che ha reso funzionali i trasporti a Bangkok è multipla.

Sistema ferroviario e sistema fluviale
Il primo aspetto del miglioramento, urbanistica di base, riguarda lo sviluppo di un sistema ferroviario urbano ben costruito e ramificato. Il secondo il mantenimento e l’utilizzo delle vie d’acqua principali, sul grande fiume Chao Praya, oggi percorse da trasporti pubblici in quantità; e la riattivazione di numerosi canali secondari, interni alla città, che erano stati dimenticati.

 

 Bangkok, Thailandia. Sul fiume Chao Praya, che attraversa la citta’ da nord a sud. Foto Renzo Garrone

Due linee sotterranee della metro, la Blu e la Viola, e due dello Skytrain (una moderna ferrovia sopraelevata, all’aperto) zigzagano per il centro coprendone buona parte, da est a ovest. Viaggiare con lo Skytrain consente tra l’altro di dare un’occhiata alla metropoli dall’alto, scoprendo quanto verde c’è ancora. Un’attrattiva dal punto di vista turistico, un po’ di sollievo, e qualche orizzonte, per i residenti pendolari. Quante oasi di pace tra soi (vicoli) e wat (complessi templari buddhisti) si alternano alle grandi avenues multicorsia, dove il traffico non cessa mai, dove alcuni semafori rossi durano anche 10 minuti di orologio. Sono le macchie verdi che uno sbircia con meraviglia, a Bangkok, dai finestroni puntinati dello Skytrain, i contesti dove appunto la metropoli ritorna villaggio. Dove l’insulsaggine del traffico motorizzato, di cui non possiamo più fare a meno, cede il passo ad una convivialità dell’esistenza a misura d’uomo. Qui prosperano ancora infatti, anche a Bangkok, le relazioni di quartiere. La gente parla, comunica, ride, si ascolta, insomma convive, restando protagonista dei suoi gesti più semplici.

Bangkok, Thailandia. Tuk tuk classico, senza tassametro, capace di grandi velocita’. Normalmente questi trombini sono dotati di motori giapponesi Kawasaki e di una carrozzeria scintillante Made in Thailand. Foto Renzo Garrone

Botteghe macilente e nuovi negozi
Per capire quanto l’alternanza di vecchio e nuovo contribuisca alla vita, al fascino, al battito della città si può partire dalle vecchie botteghe. Quelle antiche, piccoli empori, che qualche volta hanno visibilmente smarrito il senso delle cose che cambiano, popolate come sono di anziani circondati dalle proprie carabattole. E che però, per fortuna, a Bangkok vengono lasciate vivere. Non le chiudono i servizi di igiene, anche se spesso ce ne sarebbe bisogno, non le smantellano spietatamente gli speculatori, anche se gli speculatori non mancano.

 

 Bangkok, Thailandia. Scale mobli nel Centro Commerciale di MBK Center. Foto Renzo Garrone

A Bangkok non prosperano solo immensi Department Stores, Malls a perdita d’occhio. O le migliaia e migliaia di minimarket, come gli onnipresenti Seven Eleven, aperti in realtà 24h. Ecco anche i nuovi negozi, a bizzeffe, che trovano posto in edifici antichi ristrutturati, imbiancati, aria-condizionati (e in questo Bangkok ha assorbito un tratto tipico della cultura materiale europea moderna, la rivalutazione dei centri storici). Spazi che diventano coffee-shops, ristoranti, boutique hotels ed ostelli (di questi ultimi c’è una vera inflazione). Perché Bangkok, oh certo, nonostante il clima tosto, nonostante i militari, nonostante tutto, continua a fiorire come grande destinazione turistica.
Il fenomeno è evidentissimo per le strade del centro storico antico, che a Bangkok risale al 1700, quando la vecchia Ayutthaya fu abbandonata e la nuova capitale venne portata qui, nella cosiddetta Isola Rattanakosin, dai primi sovrani della dinastia Rama. Protagonisti di questo revival sono soprattutto i giovani. Bar ristoranti e negozi attirano turisti stranieri e gente del posto praticamente allo stesso modo, e (specialmente se air-con) durante il giorno anche legioni di colletti bianchi e di donne in tailleur. Tanti ormai sono i cinesi tutto l’anno, dice la manager del Vivit Hostel, un palazzetto in stile coloniale ristrutturato su Tanao Road, a due passi dalla grande zona turistica di Banglampoo.
Ciò che lascia sconcertati è invece il fato di chi resta indietro, un arrabattarsi ignominioso sui selciati della città, tra gli scappamenti e l’asfalto, nelle fauci di questo caldo che tutto soffoca. Che per chi non ci sia abituato è sempre difficile da negoziare, quasi sempre, e per almeno 9 mesi l’anno.

Dicono che i thai abituati lo siano, ovviamente, ma quella dei poveri resta una vita d’inferno. Lo vedi nei disadattati accampati per strada, come ve ne sono a bizzeffe anche in Europa per carità, che mangiano o si sdraiano sui marciapiedi, o acquattati nei parchi (ve ne sono in quantità a Bangkok, sia di homeless che di parchi). Insomma, tutto si tiene. Investimenti delle multinazionali e naufraghi dello sviluppo, migranti da tutto il paese e gente del posto, volgarità e profonda raffinatezza. Bangkok dove continuo a tornare.