Nello Sri Lanka la coltura del tè, introdotta dagli inglesi durante la dominazione coloniale, rappresenta tuttora uno dei fattori economici-chiave. E da due secoli a questa parte ciò avviene grazie al lavoro, sostanzialmente al bracciantato, dei cosiddetti “Tamil delle piantagioni”.

Non molti sanno infatti che lo Sri Lanka è un’isola multietnica, dove convivono da almeno da due millenni Sinhala, Tamil (che su 22 milioni di abitanti totali sono tra il 10 e il 12%), cattolici (attualmente 1.200.000 persone), oltre a 1.900.000 discendenti dei mori (i mercanti arabi dell’epoca, oggi divenuti musulmani). In aggiunta, vi esistono però altri 1.900.000 tamil, qui deportati 200 anni fa, per lavorare nelle piantagioni di tè e caucciù.

Quando il paese ottenne l’indipendenza dagli inglesi, nel 1948, la popolazione dei tamil stanziata nelle colline meridionali (che ha alle spalle una storia diversa da quella dei tamil del nord e dell’est) fu classificata come “indiana” (era arrivata infatti a partire nel 1823 dal sud dell’India), e con tale pretesto le fu negata la cittadinanza nel nuovo stato. Ci sono voluti decenni, grazie all’impegno di una esigua porzione della società civile locale, affinché la loro situazione nello Sri Lanka cambiasse. Ed oggi si tratta ancora della componente più povera del paese.

Gente delle 'lines". Foto Stefania Alba

 

Centrale nello sviluppo dei diritti di questa minoranza è stata HDO, una ong formata anch’essa da persone di etnia Tamil, che dal 1990 opera per i diritti dei braccianti delle piantagioni. Dei discendenti dei manovali importati come forza-lavoro dagli inglesi, che a metà dell’800 prelevarono i loro nonni scegliendo tra i fuori-casta (detti in India dalit) nei propri domini coloniali in India del sud. L’Impero britannico attinse specialmente in Tamil Nadu, trasportando questa gente a lavorare a basso costo nell’antica Ceylon, all’epoca anch’essa inglese.

I discendenti di quelle comunità per un secolo e mezzo hanno avuto scarse relazioni dirette con i Tamil del nord e dell’est, assai più numerosi, che invece vivono a Sri Lanka da oltre 2000 anni, e – al netto della guerra civile comunque finita ormai dal 2009 – non versano in acque così misere.

Come accennato i braccianti nuovi venuti, ed i loro figli e nipoti, lasciati in un limbo giuridico, senza cittadinanza né diritto di voto, non videro migliorare la loro situazione neppure col nuovo stato ed nuova costituzione. Bollati allora come stranieri (“indiani”), nonostante contassero un secolo e mezzo di presenza e sudore sul territorio; considerati “illegali” nonostante fossero (e restino!) fondamentali per la coltivazione del tè che ormai costituisce uno dei simboli dello Sri Lanka; quegli apolidi ammontavano all’Indipendenza ad oltre 500 mila persone.

Dopo le violenze

“Quando dopo il 1983 comincia la guerra civile, e la minoranza srilankese dei tamil del Nord-Est, anch'essa marginalizzata, si ribella” – scriveva Andrea Billau su Limes nel dicembre 2002 – “i Tamil delle piantagioni ne subiscono i contraccolpi. Non potendo i singalesi sopraffare i tamil nella regione nordorientale (…) si accaniscono contro quelli del centro, al limite della pulizia etnica. A partire dai fatti di Jaffna dell'83, che rappresentano l'inizio della lotta armata delle Tigri tamil, nelle piantagioni vengono uccise 7 mila persone, compiuti 5 mila stupri e bruciate circa 10 mila case. Inoltre, le frange più estremiste” (dell’opinione pubblica e della dirigenza dello Sri Lanka), “egemonizzate dal clero buddhista, premono per l'espulsione verso l'India di questi lavoratori (…) contro gli stessi interessi, fra l'altro, dei proprietari singalesi. Le trattative tra il governo indipendente dello Sri Lanka e quello indiano portano, nel 1960, ad un primo accordo, per il rimpatrio di 200 mila Tamil delle piantagioni in cambio di una quota corrispondente di cittadinanze srilankesi concesse a chi rimane. Tra famiglie spezzate e vicende umane terribili, comincia un iter che vede nel 1974 una seconda tranche di 150.000 Tamil dividersi tra i due paesi. Nel 2002, su 19 milioni di srilankesi dell’epoca, nell’isola restavano 1 milione e 200 mila Tamil delle piantagioni, mentre quelli senza cittadinanza erano 250 mila”. Nel 2024 si trattava ormai di 1.900.000 persone.

 

 Abitazioni nelle 'lines'. Ancora le stesse oggi, dopo 200 anni. Foto Stefania Alba 

 

La ONG HDO (Human Development Organization), con sede a Kandy, costituita da persone cresciute nel contesto di queste stesse piantagioni, lavora quindi per migliorarne il tenore di vita. Le famiglie dei braccianti abitano ancora nelle cosiddette “lines”: così vengono definite le lunghe teorie di catapecchie in muratura o in argilla, col tetto in lamiera, che costituiscono ancora adesso i loro alloggi. Dal 1823 fino ai primi anni 2000 poco è cambiato: questa gente ha conosciuto soprattutto povertà e degrado, nei 30 anni di guerra violenze ed ulteriore miseria, e solo nel 2004 il governo dello Sri Lanka ha riconosciuto loro la piena cittadinanza.

Ma una cosa è sancire per legge, un’altra cambiare la mentalità dominante. Per i singalesi maggioritari, secondo il senso comune, i Tamil delle piantagioni sono spesso rimasti individui di serie B, nei confronti dei quali è stato più facile perpetrare soprusi con garanzie di impunità.

Conoscere da vicino questa realtà significa aprire almeno un occhio su situazioni e notizie che il nostro opulento mondo occidentale, come al solito, ignora. Tutti sanno che il tè di Ceylon è tra i migliori del mondo. Ma non molti sanno come sia tuttora prodotto da lavoratori ampiamente sfruttati. Per esempio oggi le piantagioni impiegano questa manovalanza “a chiamata”: i braccianti e le loro famiglie abitano nei pressi e dipendo, per la mera sussistenza, totalmente dall’azienda.

Il ruolo di HDO

Facciamo un passo indietro. Tra gli studenti universitari del 1989, in rivolta, c’è chi propende per la lotta armata e chi per scelte non violente; tra questi ultimi P.P.Sivapragasam (Siva), allora studente di economia all’università di Kandy. “Durante la repressione” – scrive ancora Billau – “di fronte alla sua dimora vengono lasciate le teste tagliate dei suoi compagni di lotta. (…) Siva, assieme ad altri compagni, decide di abbandonare l’opposizione frontale al governo e comincia a lavorare con le popolazioni delle piantagioni, da cui proviene, sia per portare loro un conforto materiale sia per stimolarli a prendere coscienza della loro condizione e dei diritti loro negati. Da questo impegno nasce HDO, che negli anni seguenti si occuperà di promuovere strutture di microcredito e parascolastiche, e di intessere rapporti con ONG occidentali, per intraprendere iniziative come quella delle adozioni a distanza. Allo stesso tempo, attraverso un intelligente lavoro di Iobbying a livello internazionale, HDO riuscirà a portare la questione della cittadinanza negata alla Commissione sui Diritti Umani dell'Onu di Ginevra (maggio 2001), alle conferenze regionali del Sud-Est asiatico, a quella mondiale sul razzismo di Durban dell'agosto del 2001”.

 

P.P.Sivapragasam, 60 anni, primo laureato della comunità dei Tamil delle piantagioni. Foto Renzo Garrone 

 

Conosco Siva e i suoi dagli anni ’90, cioè gli anni dei loro inizi. Ho visitato le “lines” alcune volte dai primi anni 2000, ospite della gente con cui HDO lavora. Si tratta ancora adesso di capanne di tre stanze di 3 metri quadri, disposte in fila, dove si vive male, ammassati in troppi, con poca luce né latrine, certo senz’acqua corrente (l’acqua è disponibile solo fuori, alla fonte, e non sempre è vicinissima). Anche questi tuguri, oggi nei casi migliori dignitose casupole, appartengono ai proprietari delle piantagioni, che a loro volta rimangono largamente in mano di aziende private, sovente multinazionali estere.

Eppure – come scriveva qualche anno fa l’attivista Alessandra L’Abate, che mi fece conoscere Siva – la questione dei diritti umani dei braccianti (e quella delle loro condizioni di vita) viene volentieri delegata alle Organizzazioni non Governative. Lo stato ha altro a cui pensare. Almeno, è andata così fino all’anno scorso, quando il nuovo governo di Anura Dissanayake è salito al potere, introducendo riforme sostanziali. Ne parlo nel prossimo pezzo, una lunga intervista realizzata con Siva e Lokesh. Il primo è oggi divenuto consigliere alle questioni delle piantagioni per il nuovo governo di Anura, la seconda direttrice di HDO. Di recente ho incontrato più volte entrambi a Kandy, nella sede dell’HDO. Che si dice dopo 200 anni di deportazione, bracciantato, privazioni e battaglie? Come vive la loro gente? E come si sta evolvendo la loro situazione?

Siva, 60 anni, madre cattolica e padre induista, fece le scuole elementari nelle scuolette a due passi dalle lines, poi le medie nella cittadina di Kegalle, e fu uno dei pochissimi, infine, a proseguire gli studi all’università di Peradenya, presso Kandy. Nel 1983 fu testimone dei cosiddetti Tamil riots, che diedero il via alla guerra civile, con la stagione del terrorismo e l’inizio dell’egemonia dell’LTTE (le Liberation Tigers of Tamil Elam) sulla popolazione tamil. Successivamente, nel 1989, la rivolta scatenata dal JVP lasciò sul terreno altre migliaia di morti.

Ma mentre l’operato delle Tigri ebbe vasta risonanza sui media internazionali, non altrettanto accadde per il movimento del JVP. Il quale peraltro, accanto alla lotta armata dei suoi militanti, coinvolse in vasti scioperi gran parte della forza-lavoro, e della classe media, del sud dell’isola. “Da lì in poi”, mi ha detto Siva, “l’unica lotta che potesse avere un senso ci parve quella civile, non violenta. Lavorare per i diritti dei Tamil delle piantagioni significa far sì che scuole, dispensari sanitari, servizi sociali, gli stessi che gli altri gruppi sociali dello Sri Lanka hanno garantiti dallo stato, siano presenti anche nelle lines dove vive la nostra gente”.

Qui le prime domande, cui Siva risponde così. Nel prossimo pezzo l’intervista completa con lui e Logesh.

Quanto guadagnano oggi i braccianti dei tè?

Il salario dovrebbe essere fissato per legge a 1350 rupie al giorno (attorno ai 5 euro), ma bisogna che le persone raccolgano almeno 22 kg di prodotto fresco. Lavorano 5/6 giorni alla settimana nella zona di Nuwara Eliya, molto meno più in basso (3 giorni la settimana, l’occupazione non è abbastanza) nella regione di Kegalle, dove HDO opera di frequente”.

E la scolarità?

Dagli anni ’80 il governo svedese si è impegnato nel far nascere e sostenere un buon numero di scuole private, se ne contano 450. Di queste, HDO ne sostiene una ventina.

Ad oggi, il 40% delle donne della nostra comunità è ancora analfabeta, la percentuale scende al 30% fra gli uomini, ed è una differenza enorme rispetto alla maggioranza della popolazione dell’isola, se si tiene conto che statisticamente il 93% dei singalesi si è lasciato l’analfabetismo alle spalle.

La questione cittadinanza?

Incredibilmente, nella Costituzione del 1948 i Tamil delle piantagioni erano stati esclusi dagli aventi diritto alla cittadinanza. Ma finalmente, dal 2003, abbiamo una Legge nazionale in materia, che è arrivata sotto la spinta dell’ONU e della UE. Anche grazie al nostro lavoro.