Viaggio tra i nomadi Qashqai

Oggi si parte presto. Non sono neppure le 6 del mattino nel piccolo accampamento di questa famiglia Qashqai, al limitare della vasta piana di Eqlid. Peyman, 42 anni, una vita da pastore, indossa la bisaccia di ogni giorno sopra il giaccone e senza nessun breakfast, in modo deciso, comincia ad inerpicarsi verso monte, alle spalle del campo. Partendo da qui, al mattino, sono i cani a fare l'andatura. Attaccano la montagna brulla, e specialmente uno di loro, in testa, ci mette tutto il carisma di cui è capace.
Seguiamo Peyman in tre, camminando in silenzio in salita, il campo e la valle tutta che rimpiccioliscono ogni minuto alla vista. 

La notte scorsa c'erano i lupi. Ce lo ha detto Peyman ieri tardi nella sua tenda, sciogliendosi coi suoi ospiti alla fine della giornata, nonostante la fatica, dopo la cena deliziosa preparata da sua moglie Suri. Ed oggi il cane-guida del gregge sembra fiutarli ancora, quei lupi. Per salire al pascolo sceglie quindi una via alternativa.

Ieri è stato in realtà tutto difficilissimo per Peyman, costretto a lunghe ore tra le montagne, ormai al buio, a cercare un pugno di pecore perdute. Di ritorno al campo, stanco e combattendo col cattivo umore, ci ha confessato di averne perse tre, probabilmente attaccate dai lupi, e di avere alla fine rinunciato a recuperarle. Ci riprovo domani, ha concluso. Brutto colpo per un piccolo pastore.
Ma oggi è un altro giorno. Mentre ci inerpichiamo, il sole sorge sulla valle, situata ad un'altitudine media di 2200 metri.
Le capre salgono alla nostra destra. In mezzo ecco invece le pecore, le quali via via che l'ascesa si fa più ripida si dispongono disciplinatamente in coda, una dietro l'altra – tipicamente, le pecore seguono. Come abbiamo già visto fare ai pastori incontrati lungo la strada che ci ha portati ad Eqlid, anche Peyman adopera una serie notevole di suoni e di versi per farsi ubbidire dal suo bestiame. Fischia, schiocca la lingua, canta, grida, e poi si sbraccia, rotea le mani, agita un bastone, minaccia, getta pietre. Così sollecita, ferma, chiama, dirige, orienta, sospinge gli animali che, pacifici, si spostano a piccole ondate. Un vero spettacolo.

Eqlid, gregge al pascolo. Foto Renzo Garrone

Osserviamo dunque ed ascoltiamo Peyman nella sua performance, nel suo moto perpetuo.
Uno immagina i pastori come gente con tanto tempo a disposizione, ma spesso non riflette sugli inconvenienti del mestiere. Magari è vero, il tempo per pensare in pace senz'altro lo hanno, ma un pastore deve frattanto spostarsi senza sosta, perchè gli animali non stanno mai fermi – e Peyman deve seguirli dappresso se non vuole che gli scappino, in un contesto che come abbiamo visto non è sempre tranquillo. Alla lunga, il suo compito è massacrante. Ne fanno le spese soprattutto le giunture (muscolatura, cartilagini, legamenti), i cui problemi costituiscono vere e proprie malattie professionali della categoria. Che colpiscono quasi tutti i pastori dopo una certa età.
Peyman tira spesso piccole pietre alle pecore che si attardano, in tal modo spingendo gli animali a spostarsi nella direzione voluta. Quando si tratta di pascolare, le pecore si mischiano con le capre, costantemente a caccia di ogni filo d'erba commestibile. Appena lo trovano, si fermano e brucano. Allora per il pastore si tratta di attendere qualche secondo, poi di sospingerle ancora, incessantemente, o non si andrebbe più avanti.
Per più di un'ora continuiamo a marciare a singhiozzo in questo modo, oltre la montagna ed ancora oltre un'altra valle. Spostamenti che paiono organizzati secondo leggi precise, dove ciascuno conosce la sua posizione, e sa cosa deve e non deve fare. Tranne noi tre “ospiti”, per essere sinceri, impegnati a tenere il passo di Peyman.
Prendiamo i cani per esempio. Venissimo dall'esterno del branco, abbaierebbero e si comporterebbero in modo ostile. Ma siccome del branco facciamo parte, poiché siamo partiti col pastore e il suo gregge, ci hanno accettati e con noi sono mansueti. Pochi minuti dopo però, manco a farlo apposta, proprio i cani scattano improvvisi, lanciati in una folle corsa. Hanno fiutato, o forse giusto intravisto, qualcosa, e lo seguono. Spariscono rapidissimi dietro un gruppo di rocce nere, in bilico su un precipizio. Una volpe, spiega Peyman, mentre tutt'attorno la vegetazione locale è costituita da cimiteri di cardi selvatici, argentei, polverosi. In mezzo ai quali scarabei stercorari fanno il proprio oscuro lavoro nel terreno pietroso, divorando palline di escrementi ovini e caprini.
Mentre, improvvisamente, il tempo peggiora. Un cambiamento velocissimo, di quelli che capitano in montagna. In pochi minuti nevica persino. Di colpo. A ricordarci che questa è la situazione al di sopra dei 2500 metri, in aprile, nelle alte valli dell'Iran centrale.
Venti minuti fa era caldo e soleggiato, adesso nubi livide coprono il cielo, spirano folate di vento freddo, e con loro arrivano candidi fiocchi di neve. Qualche istante di preoccupazione eppure in dieci soli minuti la tempesta, come è arrivata, finisce. Al gelo improvviso segue il tepore.
Per quanto riguarda noi tre la disavventura basta, comunque, a perdere di vista Peyman, troppo rapido per il nostro passo. (Ma eravamo privi del carburante di una colazione e di un pò di caffè!). Il fotografo Raeisi, l'altro giorno a Shiraz, ha affermato che anche i giovani q, una volta lasciato lo stile di vita originario per le città, quando ritornano anni dopo non paiono più gli stessi. Si ritrovano fortemente indeboliti. Ci vuole un'energia notevole a comportarsi da pastore, in effetti, almeno in queste montagne.

Tempesta
Nella tempesta, intanto, Peyman è sparito velocemente dietro un'altra impervia collina, alla guida dei suoi 150 e passa animali, sempre intenti a dargli filo da torcere. Deve salire e scendere ripetutamente per recuperare qualche pecora uscita dal gregge. Noi adesso riposiamo, rifletto, ma Paymen non può permetterselo quasi mai, perché il suo bestiame è capace di scappare in ogni momento. E fa questo lavoro da solo.
“Teniamo più pecore che capre poichè queste ultime, sebbene diano più latte, sono più inquiete e fuggono di frequente” – dice Mohammed Reza, il fratello di Peyman, proprietario lui stesso di un gregge di oltre 200 animali.
Osserviamo alcune delle gerarchie animali vigenti nel gregge, tra pecore e capre. I pastori nomadi, che conoscono questi meccanismi, li sfruttano. Come evitare per esempio che un gregge di 150 animali si butti in un campo di grano maturo trovato sulla strada? Come fare in modo che da questo tuffo nel cibo si astengano le capre, creature le quali persino su burroni verticali, su pendenze disperate, riescono a pascolare incessantemente, fino all'ultimo stelo d'erba? Devi insegnare come comportarsi ad un esemplare specifico, spiega Paymen, e questa capra diventa l'animale-guida. La prima volta che andrà in un prato devi proibirglielo, e lei non lo farà più. Quando un animale del genere ha imparato bene la lezione, gli altri semplicemente lo seguiranno. Né esistono differenze sessuali in termini di leadership, in questo bestiame. Maschio o femmina fa lo stesso.

 

Ali, nomade Qashgai. Foto Renzo Garrone

Capre e pecore vivono insieme

E i cani? “I cani sono nostri” - dirà Nasse, una giovane Qashgai che incontriamo nella tenda della sua famiglia, sempre ad Eqlid. “Migrano con noi, in realtà vivono del tutto con noi, anche se non li addestriamo”.
Ogni famiglia ha un gregge, aggiunge la ragazza, la cui entità va dai 70 ai 220 animali.
Perchè sì, l'orizzonte rimane comunque la pastorizia per quei giovani Qashqai che non abbandonano il proprio stile di vita tradizionale per le città. Parliamo di ragazzi che smettono di frequentare la scuola dopo aver ottemperato, magari approssimativamente, agli anni dell'obbligo. Ci sono anche loro, quelli che non emergono, che quando sarebbe il momento non si ritrovano piani precisi per un lavoro diverso. Parliamo di maschi perché le ragazze raramente vanno fuori con gli animali, ci spiegano, anche se se ne occupano eccome, accudendo al campo quelli della famiglia.
Incontriamo un gruppetto di questi giovani indaffarato a raccogliere cardi selvatici. Si tratta di una verdura molto popolare da queste parti, che ritrovi in tutti i mercati dell'Iran, e che viene colta a mano. Il cuore della pianta, ufficientemente morbido, va bene come cibo per gli esseri umani, mentre il resto, anche se fibroso e persino urticante, se lo mangiano capre e pecore, che riescono prima a macerarlo con le zampe. Questo gruppetto di giovani dunque, ragazzi e ragazze, sta passando la mattinata in un prato a raccogliere cardi. Felici di essere approcciati, si prestano divertiti alla fotografia, e poi rotto il ghiaccio ci invitano al campo per un tè.

La raccolta del cardo selvatico. Foto Renzo Garrone

 

Per approndimenti sull'argomento:

ebook "Iran, viaggio tra i nomadi Qashqai" 

https://www.amazon.it/Iran-viaggio-fra-nomadi-Qashgai-ebook/dp/B078BYMYXQ