Gli iraniani non ci stanno. Non gli va proprio di figurare come terroristi nell’immaginario internazionale. Me lo hanno ripetuto in tanti, a più riprese, durante le visite compiute in Iran tra il 2014 e il 2018. Te lo ricordano appena ci si ferma a parlare, ancora adesso.

Purtroppo l’avvento di Trump, poco dopo la rielezione del moderato Rouhani al potere a Teheran, ha sortito se non proprio un congelamento, sicuramente un rallentamento nel processo della distensione. Non vi è stata nessuna marcia indietro europea, per fortuna. Ma le sanzioni americane sono sempre lì, prima alleggerite, poi reintrodotte. Trump è stato un fulmine a ciel sereno, abbattutosi sull’Iran e su tutti noi, quando meno ce lo si aspettava. 

Rouhani, dunque. Dopo 4 anni di presidenza, nella primavera del 2017 questo ayatollah moderato ha conseguito il suo secondo mandato. Rouhani è stato rieletto non solo grazie alla volontà popolare, ma anche alla condiscendenza di Khamenei, la Guida Suprema del regime al potere. E del Consiglio dei Guardiani che, nella Repubblica Islamica, a tutto sovrintende.

Rouhani

Teheran, Iran. Il presidente Iraniano Rouhani, al secondo mandato. Foto da internet

 Nella primavera del 2017 qualcosa stava cambiando. Andava delineandosi un nuovo Iran. Post-sanzioni, post-isolamento, intenzionato a ritornare nel mondo. Un paese dove la gente non voleva più farsi mettere nell’angolo. Dalla Rivoluzione che portò Khomeini al potere nel 1979 sono passati quasi 40 anni. In buona parte segnati dall’oscurantismo. Anni in cui l’opinione pubblica occidentale seppe comunque poco o nulla dell‘Iran, al di là della cortina fumogena sollevata dalle rispettive propagande avverse.

Gli iraniani comuni oggi, dai loro visitatori, vogliono sapere se davvero crediamo che il loro paese sia un covo di terroristi, e se sì perchè. Dopo aver fatto amicizia, cosa che in Iran è facile e frequente, si adoperano quindi per spiegarsi. Ti raccomandano di raccontare, al ritorno in occidente, come le cose non stiano affatto così. “Tell the west we are not evil“, insistono. Stefano Salteri, di questa frase emblematica, densa di significato, ha fatto il titolo del suo reportage, tratto da un viaggio che anch’io ho condiviso: Vedi qui

In Iran la mentalità è cambiata, attraverso 40 anni di regime, nonostante il regime. Scrive Vanna Vannuccini, giornalista, e profonda conoscitrice del paese: “Qui l’arte di rompere le regole è un fenomeno di massa che in nessun altro paese raggiunge queste dimensioni, e per quanto possa sembrare assurdo ciò contribuisce alla stabilità della Repubblica Islamica. Come vi fosse una tregua silenziosa tra governanti e governati: voi non ci date fastidio e noi non vi rendiamo la vita difficile quanto potremmo. I cambiamenti che in 40 anni hanno trasformato (il paese) sono dovuti a semplici comportamenti quotidiani dei normali cittadini, soprattutto giovani e ancora di più donne. Alla fine, ai cambiamenti il regime s’è adeguato. Possiede parabole satellitari tre quarti della popolazione (…) e non c’è famiglia a Teheran dove un figlio o una figlia non convivano con un compagno o una compagna, senza essere sposati“. E ancora. “Ciò vale per l’alcol, reperibile sottobanco facilmente. Per i cani, che certo Islam retrogado considera impuri, ma che la gente in Iran tiene come animali domestici, comunemente proprio come da noi. (…) I comportamenti quotidiani collettivi hanno cambiato il paese, anche se leggi non sono cambiate“.

Shafie Abad, Kerman, Iran. Amir e la moglie Zaira, nel deserto del Kalut, prima avevano un gregge di capre, adesso gestiscono una guest house. Foto Renzo Garrone

Poi tutti aspettavano uno stop alle sanzioni, sicuro. E magari un pò più rapido di quanto non sia avvenuto. Sulla carta questo sarebbe dovuto succedere dopo la firma degli Accordi JCPOA del 2015 (Il JCPOA, Joint Comprehensive Plan of Action, è un Accordo di desistenza sul nucleare, tra l’Iran e le principali potenze mondiali). Ma i risultati sono stati deludenti. In verità, il mondo non sembra comportarsi troppo equamente con l’Iran. Pare che l’Iran abbia fatto il suo, ma le sanzioni non sono state affatto sospese, come era stato promesso. Comunque il processo va a rilento.
Nel 2016 gli incaricati d’affari dei governi stranieri erano piovuti a Teheran in massa. Compreso Renzi, quand’era Presidente del Consiglio, alla guida di una robusta delegazione di politici e businessmen italiani. Molte aziende, di ogni nazionalità, hanno aperto uffici nella capitale, ma per ora non investono nè assumono. Si diceva volessero prima vedere i risultati delle ultime elezioni iraniane prima di lanciarsi definitivamente col disgelo. Avessero vinto i conservatori, gli hardline della politica di Teheran, tante aziende straniere avrebbero potuto far di nuovo fagotto.
Poi, quando a primavera 2017 Rouhani ha invece prevalso, pareva fatta. Ma il nuovo presidente iraniano, moderato, aveva scommesso pesantemente, per la ripresa, proprio sull’apertura del suo paese. Sul ritorno degli investimenti stranieri. Sul superamento della retorica antagonista dei suoi predecessori, dell‘ottusa intransigenza imposta per decenni dai fondamentalisti. Alle sue aperture doveva seguire l’appoggio del resto del mondo, che le rendesse fruttuose. L’ascesa al potere negli USA di Trump ha viceversa sparigliato le carte. Ciuffone The Donald ha subito chiuso le porte a quanto Obama aveva lasciato intravvedere. Si è subito pronunciato contro il JCPOA. Si è affrettato a vendere armi all’Arabia Saudita in primis, ed a rassicurarne i leader, chiarendo bene da che parte intendesse riposizionarsi l’America. Nella retorica USA l’Iran tornava ad essere il nemico, un Satana da isolare. Proprio quanto di peggio Rouhani potesse aspettarsi. Si tornava daccapo, ad orizzonti non certo luminosi.
 

Quindi, nel dicembre 2017, tanta gente è tornata in piazza. In 21 ci hanno lasciato le penne, vittime della repressione della polizia. Una settimana di passione e centinaia di arresti (poi quasi tutti rilasciati). Una rivolta scoppiata soprattutto contro il carovita, è stato scritto e detto (contro gli aumenti dei generi di prima necessità, dalla benzina agli affitti non più calmierati dai sussidi, che con l’ultima legge di bilancio Rouhani ha ridotto). Contro la disoccupazione (quella complessiva secondo cifre ufficiali è al 12 per cento, ma quella giovanile quasi al 30). Di protesta, contro il fallimento di fondi di investimento legati a istituti religiosi, che hanno bruciato i risparmi di tante famiglie. Nelle piazze di tutto il paese si è manifestato contro la corruzione e gli ayatollah. Contro gli interventi militari iraniani in Siria e in Yemen, contro lo sperpero di denaro rappresentato dalle costose guerre all’estero mentre in patria si allargano vaste sacche di indigenza ed i problemi incancreniscono.

Disoccupazione giovanile in Iran. Kermanshah 2016, bus pubblico. Foto Renzo Garrone
Kermanshah, Kurdistan, Iran. Autobus pubblico. La Disoccupazione giovanile in Iran raggiunge il 30 per cento. Foto Renzo Garrone

Ma pare che i dimostranti delle manifestazioni di dicembre protestassero per tutto e per il contrario di tutto. Persino a favore dello Scià, si è detto. Ed è probabilissimo che anche settori oltranzisti della società si siano coinvolti cavalcando gli eventi, cogliendo l’occasione per cercar di indebolire il governo Rouhani, se è vero che in piazza si è vista anche gente che brandiva le effigie di Khomeini e Khamenei, i baluardi del conservatorismo iraniano „rivoluzionario“. La turbolenza, d’altra parte, ha preoccupato molti. Presto comunque tutto è tornato tranquillo. Apparentemente, almeno. A covare sotto la cenere.
Sul piano dell’analisi strutturale, l’unico punto confortante è la certezza che Trump passerà, ci si augura facendo meno danni possibile (ma ha ancora due anni di mandato) e che si ritorni ad una auspicabile ragionevolezza. Una buona domanda è: la sua amministrazione ha davvero interesse ad indebolire Rouhani? Tra i trumpiani al governo c’è chi è la pensa così ma al di là delle apparenze alcuni alleati, Israele per esempio, sembrano invece preferire la moderazione dell'attuale governo di Teheran. L’altro punto confortante, per una volta, è il fatto che l’Europa non ha seguito Trump nella sua immediata contro il regime iraniano. Quelli al governo adesso a Teheran non saranno dei gigli, ma sono i meno peggio. Ed al momento rappresentano l’unica garanzia ragionevole affinchè in Iran le cose migliorino. 

Nel frattempo, la partita non sembra perduta. Coi moderati al governo, l’emergente società civile iraniana è il fattore su cui puntare. E la sensazione di quanto questa società civile sia viva, anche se magari non bene organizzata, in Iran è palpabile. Abbiamo a che fare con una popolazione in possesso di un buon tasso di istruzione (86 per cento secondo l‘UNDP, 2013), largamente urbana e moderna. Per il 60%, costituita da giovani sotto i 30 anni.

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Kashan, Fars Region, Iran.  Studentesse in gita scolatica si affollano attorno all’obiettivo. Foto Renzo Garrone

Gente che finora ha fatto buon viso a cattiva sorte, che desidererebbe solo vivere un pò meglio, senza assurde compressioni - a casa sua ma anche nel mondo. Che vorrebbe cose semplici, maggiori libertà (inoffensive), relazioni amichevoli, e respinge ricette farraginose. Vorrebbe anche, soprattutto, consumi moderni. Resi molto complicati dalle sanzioni.

Gente che è più vicina agli europei di quanto non si immagini. Probabilmente, come ha scritto qualcuno, siamo in presenza della più europea tra le società del Medio Oriente. Personalmente, ritengo che gli iraniani siano uno dei popoli a noi più simili. L’Islam asfissiante loro imposto da un quarantennio è per buona parte una sovrastruttura. Dall‘importanza variabile. Metaforicamente, la religione è un pesante mantello che soffoca apparenze e comportamenti, che altrimenti sarebbero più liberi. Una cappa sotto cui, però, la mentalità della gente resta la stessa di prima.
Nel 1979, questo popolo volle una Rivoluzione di cui la frangia islamista – che era stata solo una delle componenti della rivolta - presto si impossessò, dirottando l’intero movimento. Fu una Rivoluzione contro l’incancrenita dittatura degli Scià, appassionatamente sentita e vissuta da persone di ogni orientamento politico, ma che l’ala khomeinista presto egemonizzò. Per molti intellettuali si trattò una delusione cocente, del tradimento di un nuovo assetto in cui avevano creduto, per il quale spesso erano tornati in patria lasciando ciò che si erano costruiti nell’esilio all‘estero.
Ma il mondo persiano, quello greco e quello latino hanno alle spalle quasi 5 millenni di interazioni reciproche, tra guerre, riappacificazioni, scambi culturali e commerciali. I nostri mondi si conoscono già, quindi, e non appena possono si riconoscono facilmente.

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Persepolis, Fars Region, Iran.  Le magnifiche rovine di Persepolis, grande capitale cermoniale dell'Impero Persiano che fu di Ciro, Dario,Serse, Artaserse, rappresentano probabilmente la prima attrazione monumentale del paese. Foto Renzo Garrone