Fin dall’inizio della crisi del Covid-19 sono in contatto un’amica di Jogyakarta, una delle maggiori città dell’isola di Giava. Se all’inizio le cose non sembravano andar così male, in Indonesia, adesso paiono peggiorare.

“Sì, stanno peggiorando senz’altro” – dice Uuth il 28 marzo. Si era partiti da due persone positive soltanto, adesso secondo il governo il bilancio è salito a 1.155 contagi con 102 morti e 59 ricoverati”.

“Gli esperti predicono un picco della malattia, da registrarsi a metà aprile” - prosegue Uuth. “Il governo sta cercando di limitare i movimenti delle persone, col distanziamento fisico e chiedendo alla gente di stare a casa. Ma purtroppo è chiaro come il peggio debba ancora venire”.

 Il saluto all'asiatica, che non contempla baci ed abbracci, funziona già da sè come misura di distanziamento sociale. Foto Renzo Garrone di un murale a Jogya

“Un fenomeno preoccupante riguarda le tante persone immigrate, spostatesi a Jakarta, che al momento hanno perso il lavoro - mentre i figli che hanno con loro non possono andare a scuola, visto che le scuole sono chiuse. Questa gente sta cercando di ritornare alle città e ai villaggi d’origine.

La stazione ferroviaria di Senen a Jakarta il 26 marzo. Foto dal Jakarta Post

Si stima da fonti ufficiali si tratti di circa 66.000 persone, dirette soprattutto verso la parte centrale dell’isola di Giava (l’isola più affollata del mondo), verso Jogya che è un'altra grande città, ma anche verso l’est dell’isola maggiore e verso altre zone dell’Indonesia. Persone prive di disponibilità economiche, che a Jakarta vivono alla giornata delle occupazioni che trovano, e che ora cercano di ritornare ai villaggi d’origine dove almeno le famiglie possono garantir loro ospitalità. A coloro che arrivano da Jakarta in villaggi e cittadine il governo raccomanda una quarantena volontaria di 14 giorni, speriamo che la gente obbedisca. E parecchi villaggi hanno cominciato a implementare dei lockdowns locali, limitando a un punto di accesso soltanto le entrate autorizzate ai villaggi stessi”.
E’ Jakarta infatti l’epicentro del Covid-19. La capitale indonesiana, più di 10 milioni di abitanti ufficiali nel 2014, è un magnete di immigrazione per centinaia di migliaia di persone a caccia di lavoro. Una parte di queste vive in baraccopoli.

Abitato fitto sull'altopiano di Dieng, Giava, Indonesia. Foto Renzo Garrone

La popolazione della capitale, scrive Wikipedia, è passata dai 1,2 milioni nel 1960 ai 5,8 milioni del 2000 fino agli 8,5 milioni del 2005, contando solo i residenti ufficiali. Adesso abbiamo appunto superato i 10 milioni. Questa crescita troppo rapida ha superato le capacità del governo di fornire le necessità di base a tutti i residenti. Jakarta attrae un gran numero di visitatori tanto che la popolazione durante i week-end è circa il doppio rispetto a quella dei giorni infrasettimanali, soprattutto per effetto dei residenti della grande periferia, detta Jabotabek. E data l'incapacità delle autorità di allestire una rete di trasporti adeguata alle dimensioni demografiche raggiunte, la metropoli deve sopportare grandi ingorghi del traffico quasi ogni giorno”.

Puntualizzo,  ingorghi veramente spaventosi. Nella vastissima capitale indonesiana non esiste una metropolitana, l’unica maniera di andare in giro sono i mototaxi, respirando però i gas di scarico e i fumi di centinaia di migliaia di veicoli.

“Ormai qui i ristoranti offrono solo cibo take away”– ancora Uuth da Jogya – “e la maggioranza sono chiusi. Ed anche le agenzie di viaggio, così come in Italia,  sono chiuse, né sappiamo quando riapriranno”.

Jogya, mercato. Foto Renzo Garrone

La mia amica chiude infine con una nota più intima, emotiva, sul contatto tra le persone, che sfata certi luoghi comuni sull’Indonesia islamica diffusi tra noi occidentali: “E’ quasi Ramadan” – scrive – “e le persone provano tristezza immaginando un Ramadan senza mani da stringere, senza abbracci, senza baci”. Anche se a Jogya vige spesso il saluto all’asiatica, senza contatto fisico, il richiamo a baci e abbracci ci dice semplicemente che tutto il mondo è paese, specialmente quando si tratta di rapportarsi con familiari ed amici.

Jogya, Indonesia. Padre e figlia. Foto Renzo Garrone