Molini, accoglienza e ristorazione sul sentiero verso San Fruttuoso

L’inizio dei lavori per il recupero dell’ex podere di Molini, sul Monte di Portofino, segna l’abbrivio di una seconda vita per la coop Il Giardino del Borgo. Siamo nel 2005. Pulito l’uliveto, tra i quattro ruderi a loro disposizione i ragazzi della cooperativa si concentrano su Molini, il manufatto messo meglio. Logisticamente il più strategico. Alla ricerca di risorse, imbastiscono un progetto e presentano una domanda di finanziamento PSR: (sono fondi strutturali UE, disponibili per l’agricoltura). Come risultato, ne cavano 100.000 euro! Anche ARTE, la società della Regione Liguria da cui la coop affitta i terreni, partecipa al co-finanziamento: investendone da parte sua altri 50.000.

Con questi soldi parte la ristrutturazione del casale. Che verrà realizzata da quattro o cinque persone in tutto, e tanto lavoro manuale. Roba d’altri tempi. Ma anche tramite aiuti episodici. Attraverso varie “Borse-lavoro” promosse da comuni o ASL, per esempio, ci sarà chi si aggiunge trattenendosi un periodo (succede con un ex detenuto) e dando una mano. D’estate inoltre la coop organizza a Molini campi di volontariato: i ragazzi che arrivano si accampano in tenda, viene offerto loro il vitto, e anch’essi collaborano un poco alla grande fatica comune. 

“Ci abbiamo messo tre anni”, allarga le braccia Andrea Leverone, tra i fondatori. “Non avevamo soldi e abbiamo fatto quasi tutto da soli, con legno e piccone”. Mitico resterà lo scavo nella roccia viva, che ancora oggi fa capolino nel salone a piano terra di una Molini ristrutturata.

 Molini ristrutturata. Andrea Leverone nel salone a piano terra

Inevitabili, però, arrivano anche le spese: quelle per l’utilizzo dell’elicottero, ad esempio, sistema quasi obbligato da queste parti per trasportare in breve sul posto alcuni materiali indispensabili, tra cui sabbia e cemento. “L’utilizzo di un elicottero costa adesso 24 euro al minuto” – ricorda Andrea – “cui va aggiunto qualche altro costo fisso. E va da sé che per un lavoro completo si tratta di impegnarlo ogni volta per almeno un’ora”. Nel frattempo entrano in cooperativa Filippo (2003) ed Emanuela (2004).

Allevierà poi un poco la fatica della ristrutturazione una monorotaia. “E’ arrivata una decina d’anni fa soltanto” - dice Antonio, il papà di Andrea, che sovente dà una mano in cooperativa – “ma ci ha aiutato parecchio. Sono stati necessari tre anni di prova, voluti dal Parco di Portofino per controllare quale fosse l’impatto ambientale. Poi l’OK, anche se su una sola tratta: abbiamo potuto farla correre solo da San Fruttuoso a Molini” (cioè da poco sopra il livello del mare, vicino all’Abbazia, alla location dell’Agririfugio, un’altitudine di neanche 200 metri). Ed eccola, la piccola stazioncina della monorotaia, in un capanno a lato dei tavoli di cui sono stati dotati i terrazzamenti attorno al podere. “Certo avessimo potuto farla arrivare anche dall’altra parte, in salita, da Molini fino a Pietre Strette” – puntualizza Andrea – “per noi sarebbe stata una svolta. Fino a Pietre Strette, abilitati ad operare sul Monte, possiamo giungere con un piccolo furgone. Ma il Parco ha detto di no. I nostri tre vagoncini portano comunque fino a 500 kg, siamo al limite della pendenza.” Anche la monorotaia è stata finanziata dal pubblico: nel 2008, coi proventi di una Legge Regionale. E questo collegamento col borgo di San Fruttuoso si rivelerà utile, oltre che per le merci, anche per il trasporto bagagli di alcuni turisti.

“Molini verrà inaugurata il 1°giugno 2008” –   ride Emanuela Chinchella, compagna di Andrea (la coppia ha tre bambini) – “due giorni dopo la nascita della nostra prima figlia!”.

Il recupero degli antichi terrazzamenti del posto, che si affacciano sul panorama della Baia di San Fruttuoso, ha restituito al luogo una fruibilità. Le “fasce” dell’area circostante l’edificio principale sono state lastricate con impiantiti di legno e dotate di tavoli di castagno, tutto realizzato artigianalmente dalla stessa cooperativa con ottimi risultati estetici e funzionali.

Questo lavoro ha inoltre comportato il rifacimento dei tradizionali muri a secco della zona, componente fondamentale per territori scoscesi come quello ligure. Un lavoro in cui alcuni dei soci della coop si sono negli anni specializzati. Oggi trovi Filippo ed Alessandro sul ‘Monte’ anche d’inverno, impegnati nel rimettere in piedi qualche muro a secco fatto crollare dal maltempo o dai cinghiali – li ho incontrati per esempio quest’anno a febbraio, vicino all’abitato della Mortola. Muretti a secco di cui finalmente, anche in chiave ufficiale, è stata riscoperta la funzione fondamentale per la salvaguardia dei territori. Dopo decenni di trascuratezza infatti, nel novembre 2018 i muretti a secco sono stati inseriti nella lista UNESCO degli ‘elementi immateriali’ perché realizzano "una relazione armoniosa fra l'uomo e la natura". L'Italia aveva presentato la sua candidatura insieme a Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. Una tradizione che riguarda sia il nostro paese sia altri paesi europei, ma anche tante altre parti del mondo in realtà (le pietre sono dappertutto!). Costruire o riparare un muro a secco può sembrare facile ma non lo è affatto. Non si può usare cemento, ma solo l’incastro adeguato di una pietra sull’altra. Il cemento bloccherebbe il deflusso dell’acqua verso valle quando piove, che invece si verifica senza traumi quando i terrazzamenti delimitati dai muri a secco vengono edificati a regola d’arte. Ci sono tecniche specifiche, si tratta di una sapienza antica, che va preservata e tramandata. “L'arte del dry stone walling riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassando queste ultime una sull'altra” - scrive l’UNESCO – “senza l’utilizzo di alcun altro elemento tranne, a volte, terra a secco. Si tratta di uno dei primi esempi di manifattura umana ed è presente a vario titolo in quasi tutte le regioni italiane, sia per fini abitativi che per scopi collegati all'agricoltura, in particolare per i terrazzamenti necessari alle coltivazioni in zone particolarmente scoscese". In Liguria i muri a secco sono parte integrante delle tecniche agricole: servono a proteggere le porzioni di terreno ricavate dai pendii. Oggi versano spesso, però, in condizioni di degrado, per la mancanza di manodopera specializzata. Oppure soccombono alle logiche dell'agricoltura meccanizzata che li vede come un ostacolo. Il Giardino del Borgo con il suo operato sul Monte di Portofino rappresenta in tal senso un presidio di salvaguardia del territorio.

Ed ecco che negli anni Molini, l’ex rudere ristrutturato, con la sua vista mare e le fasce trasformate in piccole terrazze panoramiche lastricate in legno, diventa piano piano meta turistica. Piazzato su uno dei sentieri più strategici del Monte, punto di sosta per gli escursionisti, l’Agririfugio dall’estate 2008 dovrà attrezzarsi per rispondere a flussi di visita in costante aumento, flussi che durante la buona stagione si riveleranno presto importanti. I ragazzi della coop arrivano però all’appuntamento privi di una vera preparazione professionale in proposito, sia sul piano dell’accoglienza che su quello della ristorazione. Così, da subito, la gestione di Molini li assorbe un pò troppo, per loro stessa ammissione. Se originariamente l’ ulivicoltura costituiva l’attività principale – le piante andavano ripulite dai rovi, curate, rimesse in produzione lungo i versanti impervi che digradano verso San Fruttuoso; se all’inizio si puntava sulla trasformazione di piante officinali in prodotti cosmetici, erboristici, in liquori, il tutto curato soprattutto da Linda Sacchetti, biologa e nutrizionista (che poi lascerà, tornando al proprio lavoro originario che mai aveva comunque abbandonato del tutto); successivamente l’attività “turistica” di Molini (accoglienza e ristorazione per l’escursionismo) prende il sopravvento. Ad essa la coop continua ad affiancare i servizi per il Parco (falegnameria, cura sentieri, muretti a secco), ed il giardinaggio esterno. Ma il mercato di miele, marmellate, liquori aromatici, olive in salamoia decresce gradatamente; ed oggi rappresenta solo una piccola quota del fatturato. Come il resto dell’attività agricola, orto a parte.

“Gestivamo direttamente un’azienda agricola in Val di Vara” – racconta ancora Andrea - “che forniva derrate non disponibili negli ambienti del Monte di Portofino, ma decidemmo di lasciarla. Implementammo invece la nuova figura dei soci conferitori, che oggi, per la ristorazione, garantiscono una certa varietà di approvvigionamento”.

All’inizio era tutto molto basico a Molini, me ne ricordo bene. In termini di alloggio hanno sempre avuto giusto tre stanze, una matrimoniale e due camerate con 4 e 5 letti. Bagni in comune, al piano. Il posto è piccolo. La formula scelta e proposta agli utenti, per chi intende fermarsi e soggiornare, è quella della Pensione Completa, che oltre al pernottamento comprende la cena del giorno di arrivo, la colazione del giorno successivo e il pranzo con menù completo il giorno successivo all’arrivo (le bevande restano escluse).

Ma soprattutto la ristorazione ha dovuto, letteralmente, raffinarsi, migliorare il proprio livello. Nel momento in cui scrivo queste righe, nel luglio 2019, l’ormai molto visitato Agririfugio dispone (dal 1 marzo al 2 di novembre) di un cuoco stabile in cucina e di un menù variato in cui è evidente la cura degli abbinamenti (se non cresci di tono sul fronte gastronomico, nell’Italia di oggi, non vai più da nessuna parte). Lo standard rimane ruspante, nulla di stellato, ma è tutto genuino e mirato. Di nuovo si tratta di tener presente che sui sentieri del Monte di Portofino le operazioni sono più complicate del solito: sia le persone che le merci possono giungervi solo a piedi, le merci sulla schiena di qualcuno, oppure – ma solo in parte - con la piccola monorotaia. Inoltre, è chiaro, non tutto può esser prodotto sul posto. Quella dell’Agririfugio non è neppure una cucina soltanto vegetariana, comunque, anche se i piatti vegetariani costituiscono buona parte dell’offerta. “Attingiamo dalla nostra tradizione culinaria cercando semplicità e schiettezza”, raccontano loro. “Le materie prime sono di nostra produzione (ortaggi, olio, miele, liquori di erbe) oppure provengono da aziende socie del territorio che forniscono vino, olive taggiasche in salamoia, carne biologica, birra artigianale. Il pane lo facciamo giornalmente. Le verdure sono quelle del nostro orto”.

L’extravergine d’oliva in piccola parte è quello del Monte, ma arriva soprattutto dalla provincia di Imperia, Candeasco, con l’Azienda agricola di Gianpaolo Gandolfo. Filippo Canti porta in dote il vino, che arriva da La Casetta di Salino, vicino a Varese Ligure. Una coop di Capenardo, vicino a Davagna, nell’alta Val Bisagno dietro Genova, alleva bovini allo stato brado, e garantisce la carne. Inoltre, spiegano a Molini, abbiamo selezionato altre aziende del territorio per il nostro approvvigionamento: un birrificio artigianale a Genova (Maltus Faber), un salumificio a Casarza, un caseificio a Sestri Levante, un altro in Val d’Aveto. 

Visto che di turismo si tratta, sono andato a leggermi qualcuna delle recensioni che compaiono su Trip Advisor a proposito del luogo, visto che oggi i proventi dell’Agririfugio costituiscono la maggior parte del fatturato della cooperativa. L’utenza è totalmente costituita da escursionisti. “Ci siamo fermati a dormire al Giardino del Borgo con trattamento di mezza pensione”, scrive un visitatore/recensore. “Il posto è bello, isolato, silenzioso ed affascinante, con una visuale stupenda sul golfo di San Fruttuoso; i gestori sono simpatici, la locanda molto accogliente. Abbiamo mangiato molto bene (buonissime le torte fatte in casa!), colazione a buffet; abbiamo dormito bene; il bagno era pulito, la camera pure, ma con qualche piccola ragnatela (…). Si tenga presente che la struttura non è servita da strade, tutto quello che c'è e viene offerto viene trasportato a piedi tramite i sentieri. Dal rifugio ai traghetti vicini all'Abbazia si impiegano in discesa 15/20 min. In salita (un pò ripida) ci si mette mezz’ora”.

Ma quanto lontano ci si trovi dalle standardizzazioni del turismo di massa lo si evince tranquillamente dallo stesso sito della coop, che così, in modo piuttosto militante, autodefinisce il Giardino del Borgo: “Facciamo agricoltura e offriamo ospitalità nel nostro rifugio agricolo nel cuore del Parco di Portofino. I nostri terreni sono stati strappati a decenni di abbandono e sono pubblici. Vi invitiamo a venirci a trovare, rigorosamente a piedi, per conoscere una natura e una storia affascinanti. Offriamo ospitalità presso un agriturismo per escursionisti, amanti della natura e della pace. L'accoglienza semplice e familiare permette di conoscere dal di dentro la nostra terra, e la fa amare. Ospitiamo singoli, gruppi, famiglie e scuole. Abbiamo scelto di vivere in questa terra e di questa terra.”.

“Tra gli utenti, tante sono le famiglie” – dice Emanuela. “Che a volte in luglio e agosto restano anche una settimana”. A Molini hanno allestito una fascia apposta con giochi per i bambini. “E gli italiani sono tanti quanto gli stranieri. Molti repeaters, anche. Ma l’accoglienza è necessariamente di un certo tipo” –puntualizzano. “Questo non è il posto dove ripiegare sul proprio tablet o su uno smartphone”. “La connessione è debole” – sorride Andrea.

“Tra alloggio e ristorazione la resa è equivalente” – prosegue lui, anche se la ristorazione è più impegnativa. E’ costosa poiché devi acquistare le materie prime, e poi il tempo che bisogna dedicarle è parecchio”, e se si aggiunge l’onere del personale necessario…

Continua comunque quella certa apertura che contribuisce a fare del GDB una realtà autentica: “Al momento abbiamo un ragazzo ucraino che lavora con noi, socio in prova della coop” - dicono Andrea ed Emanuela - “E’ un obiettore della guerra in corso coi russi, cui il suo paese lo costringerebbe”.

Chiedo come va dal punto di vista emotivo-affettivo. Non è facile stare insieme vent’anni, lavorando a contatto di gomito, seppure con lo stacco dell’inverno, tutti i giorni. Ma mi rispondono che tra loro, si conoscono ormai bene, e semplicemente resiste una buona armonia. Ma c'è qualcosa di pesante davvero nel lavoro? Come risposta ti aspetti un richiamo alla fatica fisica, o a un reddito insufficiente. E invece, ad Emanuela pesano le notti. Vivere in un contesto antropizzato, moderno, consente varie forme di svago. “Ma stare a Molini tutto il tempo, fuori dal mondo, significa privarsene, doverne fare a meno. Non stacchi mai”. Oppure: “Il problema è quando le cose da fare diventano un po’ troppe” – questo è Andrea. “Per un periodo ho dovuto gestire sia l’amministrazione che la cucina – facevo il cuoco a Molini, sempre dietro ai fornelli. Troppo. Ora invece che abbiamo un vero cuoco, va molto meglio. Un altro problema è la stagionalità” – soggiunge – “negli 8 mesi della buona stagione siamo in pista tutti i giorni, ma poi magari riposassimo d’inverno. Il maltempo degli ultimi anni ci ha costretti a lavorare sui sentieri del Parco anche a dicembre, gennaio, febbraio, specialmente nel recupero dei sentieri”.

 Alessandro Sacchetti nella falegnameria de 'Il Giardino del Borgo' in località Bocche, sul 'Monte'