L’etnia tribale Beduina dei Bani Wahiba abita le Sharqiya Sands, all’inizio del deserto omanita, 180 km da nord a sud e 80 km da est a ovest.
Nella tenda tra le prime sabbie, 10 km da Biddiyah, la mattina incrociano i gipponi FWD dei turisti, con le quattro ruote motrici. La famiglia Beduina che incontro ha costruito in questo centro urbano, da una trentina d’anni ormai, una propria casa in muratura. L’abitazione è grande, deve esserci spazio per tutti, e l’hanno pagata coi propri soldi, dice Abdullah - senza fondi pubblici (la cui erogazione ha viziato gli omaniti). Si tratta di 12 persone, che vivono insieme. Una famiglia estesa, allargata.

Qui, nella tenda nel deserto, restano in pianta stabile gli anziani, ma il posto è quotidianamente frequentato da tutti. Chi va e chi viene. Presente è soprattutto la nonna, col marito oggi in pensione che lavorava nell’Air Force omanita, le cui foto in divisa pencolano ai lati della tenda. Le donne vestono tutte il costume tradizionale e la mascherina stile Batman che contraddistingue l’appartenenza all’etnia beduina. C’è anche una nuora, una bella ragazza con penetranti occhi tristi e ben 4 marmocchi. Ed una bimba, che è la sua, altri occhioni spalancati sul mondo.

La tradizionale mascherina modello Batman contraddistingue, nelle donne, l’appartenenza all’etnia beduina. Foto Renzo Garrone

Su un tavolo, la famiglia offre ai visitatori datteri e caffè. Coi turisti intrattiene un commercio spicciolo fatto di sorrisi e souvenir. La tenda sorge al limitare della pista verso sud. Una delle due nuore si dedica ai tatuaggi che pratica con l’hennè, pianta autoctona che cresce libera in questi deserti e che le donne sanno dove recuperare. Le turiste straniere soccombono volentieri a questi ricami esotici sulla pelle.

Disegno all'hennè fatto ad una turista da una donna beduina. Foto Renzo Garrone

Di fatto si tratta di un accampamento, le tende sono numerose, inframezzate da spazi aperti. E ce n’è una adibita a toilette. Fuori, per terra, solo sabbia. Dentro, tappeti. La nonna, mi dicono, è l’unica che abiti qui tutto il tempo. Salma, questo il suo nome, ha sempre vissuto così. Preferisce di certo questa vita a quella di una casa in città. La spola tra la tenda e il contesto urbano la fanno tutti gli altri. Spesso anche i bambini, che vivono essenzialmente a Biddiyah, dove vanno a scuola. L’istruzione scolastica dei piccoli segna la transizione da nomadismo a stanzialità.
Arriva in auto un giovanotto, figlio della seconda moglie del pilota dell’Air Force. Indossa una candida Dishdasha, il lungo caffettano tradizionale omanita. Si ferma, chiacchiera con le donne, ride. Anche con l’altra nonna, cioè con la prima delle mogli del padre - ancora viva in carne ed ossa qui davanti a me. Sono famiglie estese, queste, dove la divisa è la tolleranza. Dove, in piena penisola araba, certi rigori dell’Islam sembrano lontani. Nessun velo per il sesso femminile, solo la tradizionale mascherina beduina. La sera, al campo, spunta qualche innocente bottiglia di vino (in Oman non è vietato, serve però una licenza, ma questi non ce l’hanno di sicuro). Lo stop in questa tenda è gradevole, seppur piegato ai luoghi comuni del turismo. Vista soprattutto l’apertura delle persone, la naturalezza. La sera, i beduini accendono fuochi nel deserto, si accampano, sovente fanno musica con strumenti tradizionali.
La famiglia possiede 7 cammelli. Che tradizionalmente ha usato da carne e da latte, ma che adesso adopera soprattutto per le tourist rides, per scarrozzare i turisti in groppa agli animali, tra le dune. Ma anche per le corse, grande passione di questo popolo. Siamo passati in massa, d’altra parte, dai dromedari ai suv. Dalle tende alle case in muratura. Dal nomadismo nei deserti alla scuola urbana dei bambini. Anche per questi Beduini è in corso la rapidissima transizione tra un modo di essere atavico, che non è più espressione della scala dei valori per cui le persone vanno incontro alla vita ogni giorno, e il nuovo modo di vivere più liquido, senza una vera bussola che non siano il denaro e fattori ad esso collegati. La scuola per i figli è essenziale per esempio, ma obbliga la famiglia, almeno una parte di essa, ad una stanzialità urbana. Ed invariabilmente, nelle famiglie, questi compiti riguardano una madre, una sorella, qualche fratello piccolo. Tipicamente, invece, il padre lavora fuori (si intende, in professioni extra-deserto). Mentre gli anziani presidiano il modo di vivere tradizionale dell’accampamento. Ma ogni giorno più prossimo alla città. Visto già succedere, proprio le stesse cose, in Ladakh e in Iran: dal nomadismo alla stanzialità.
In tutta questa vasta area che prelude al magnifico deserto arabo, le Wahiba Sands, sono i Beduini gli abitanti tradizionali. Gli omaniti stanziali qui cedono loro il passo. Si tratta di circa 10.000 persone. Per incontrarli, basta fermarsi nei loro vasti attendamenti, dove a qualsiasi ora della giornata attendono il visitatore datteri e caffè, i dolcissimi datteri delle oasi, quasi una carta d’identità omanita, ed il caffè lungo del posto, molto leggero ma gradevole. Tra i souvenir che mettono in vendita compaiono accessori in lana e chincaglierie, qualche polvere cosmetica, e le caratteristiche mascherine da donna, da portiere di squadra di calcio che dopo un incidente vuole riprendere a giocare.

 

 Beduina velata, accampamento a Wahiba Sands. Foto Renzo Garrone

Insomma, il titolo viene facile: dai dromedari ai suv. I beduini non vivono mica più di dromedari e capre come hanno fatto per millenni. I dromedari non servono più né per latte né per carne né per trasporto, ormai. Costano parecchio, mi dice una guida di Sur, in possesso di un buon inglese, dedicatosi interamente a questo business assai lucrativo, le escursioni nel deserto a dorso di animale. Che gli omaniti realizzano con i turisti a caccia di esotismi e campi tendati, meglio se a più stelle. I dromedari li tengono non perché servano loro, spiega la guida, ma perché li amano profondamente. In realtà, precisa sporgendosi un po’ di più verso di me, se un altro beduino vede che non hai più neppure un dromedario che figura ci fai? Il tuo prestigio sociale si deteriora, ci perdi la faccia. Ma non ci si campa mica più, con gli animali. Anzi. Sono soprattutto un costo.

Dromedari di proprietà dei beduini. Siamo nelle Wahiba Sands, nel primo deserto omanita. Foto Renzo Garrone