L’amicalità, la cortesia relazionale è uno dei tratti iraniani più distintivi. Ad essa tutti i visitatori fanno in qualche modo riferimento. Ed è una cosa autentica. Che nota ogni viaggiatore. Per cui l’Iran merita d’esser ricordato.

Arrivo a casa di amici, ad Esfahan, e il padre di Alì - pur non avendomi mai visto prima - mi bacia sulle guance con sincero trasporto (tre volte, noto, proprio come si salutano gli svizzeri). A casa di uno zio il giorno seguente succede esattamente lo stesso. Come fossi un parente assimilato. 

 Anche Alì, 33 anni, quando dopo vari giorni trascorsi insieme mi lascia al Terminal dei bus di Kaveh, ad Esfahan, mi abbraccerà e bacerà tre volte. Ridendo poi subito dopo, come a rendersi conto di quanto per i giovani questo sia diventato desueto, ma resti comunque una cosa bella. D’altra parte, io mica sono più giovane. Ma tra Alì, la sorella Shirin di poco più giovane ed il sottoscritto, la barriera generazionale si avverte poco.

Esiste naturalmente il fattore “prestigio sociale”, incluso nel fare amicizia con uno straniero e nel “mostrarlo” in pubblico. Ma qui, per Alì e Shirin, a casa dei quali passo alcuni giorni, prevale il puro piacere di chiacchierare, e di conoscerti. La cosa si estende in modo naturale all’ospitarti. Succedeva nella tradizione, d’accordo. Ma si conferma nella modernità (“anche in Iran si sta diffondendo il couchsurfing, lo sapevi?” – spiega Shirin).

Se poi arrivi in questa famiglia di Esfahan tramite un’amica, che è pure una loro una mezza parente... L’ospite piovuto dal cielo, come il sottoscritto, del tutto inaspettato, non è affatto sgradito. Lo fosse si avvertirebbe. Diventa quasi un onore, oltre che un passatempo. E a questo livello, per gli iraniani è d’obbligo metterlo a suo agio.

Alì e Shirin, nei miei giorni ad Esfahan, mi scarrozzano ovunque. Lui col suo inglese basico, da cui deriva un certo riserbo, che in parte è tratto di carattere e fa simpatia. Lei con un inglese migliore ed un modo di porsi più raffinato, ma mai affettato. Semplici ed intelligenti questi giovani fratello e sorella, nessun fidanzato o fidanzata in giro, lui che lavora nel negozio di ciclo moto ricambi del padre, che raggiunge ogni mattina a piedi, lei che fa solo un part time in un laboratorio artigianale, ma per il resto frequenta una scuola di cucito, e 2 ore di yoga la settimana (“mi hanno aiutata parecchio a vincere lo stress e il nervosismo”, dice).  

Rewansar (Kermanshah), Kurdistan, Iran. Stefano Salteri mostra le le loro immagini agli iraniani che ha appena fotografato. Foto Renzo Garrone

 Baciarsi a Teheran

Un’elevata amicalità, in Iran, rimane costume comune di tutte le classi sociali. Anche tra i nomadi, per esempio.

Nel proprio accampamento sui monti Zagros, la robusta e infoulardata Suri, una Qashgai di 37 anni, bacia Bita, ragazza di città che fa la guida. Le due hanno familiarizzato e convissuto per 4 giorni, ed ora si salutano. Alla prossima. Molto in gamba, Bita non s’è mai tirata indietro rispetto alle incombenze del campo, offrendo una mano continua a Suri che ci ospitava. Queste donne non si conoscevano prima, ora si dicono arrivederci e magari non si incontreranno più - ma lo fanno calorosamente. Bisogna vederne i gesti. Non c’è nulla di formale, niente della vuotezza di certi baci quasi obbligati, che si preferirebbe non dare. Baci inutili quelli, propri di un certo nostro get together sociale. Baci non veri, solo guance che si toccano, le labbra più lontane possibile, gli occhi altrove.

Al contrario, gli iraniani ci mettono molta cura. Non si staccano subito. Sul volto dell’interlocutore stampano baci veri. Prima di farlo, sembrano osservare con calma e con cura i centimetri quadrati dove apporranno le labbra. Come in una vignetta dei fumetti. Divertente osservarli. Tra persone dello stesso sesso, quantomeno, il body language è rilassato.

Altro bacio significativo, sempre al campo Qashgai, è quello di Raeisi, un ex proprietario terriero in visita ad un anziano: La famiglia è quella della quale siamo ospiti. I due si conoscono da decenni. Il bacio che ne deriva è, da parte di Raeisi, pieno di rispetto e di affetto.

Infine, Peyman è il pastore che ci ha aperto la sua tenda, ci ha offerto il suo tempo e la sua ospitalità per quasi una settimana. Il bacio di saluto tra Peyman ed il sottoscritto è di simpatia, inter pares, di due persone che hanno appena cominciato a fare amicizia, che comunque qualcosa si sono scambiati. Hanno riso insieme, hanno mangiato insieme, sono persino andati al pascolo insieme…    

In generale, mi par di vedere grandi similarità tra i comportamenti del mondo mediterraneo (spagnoli, italiani), e quelli del mondo greco e del contesto persiano. Del resto si tratta di tre grandi aree culturali contigue, che da millenni interagiscono. Che da millenni si conoscono. Si sono fatte la guerra a vicenda, si sono conquistate e dominate e sterminate l’un l’altra, ma anche amate. Hanno comunicato. Da Ciro il Grande in poi, dagli Achemenidi dell’Impero persiano nel 600 avanti Cristo fino ad Alessandro Magno che rase al suolo Persepolis, e poi attraverso le vicissitudini dell’Impero Romano, alle sue guerre coi Sasanidi immortalate nei bassorilievi accanto alle tombe di Naqsh-e-Rostam, ed oltre, questi mondi hanno anche scambiato e commerciato per terra e per mare. Si sono mischiati, hanno assimilato usi costumi e comportamenti gli uni degli altri.  

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Kashan, Fars Region, Iran. Negoziante al bazar. Foto Renzo Garrone

Ma, senza trascurare l’importanza dei successivi secoli di dominazione araba sull’Iran, che qualcosa avranno pure voluto dire, anche se agli iraniani non piace sentirselo ricordare, proviamo a considerare i chador di oggi un semplice involucro, un’imposizione certamente, ma senza l’importanza che noi osservatori esterni siamo condizionati ad affibbiare loro, quale specchio dell’oppressione femminile (tra l’altro vengono portati sempre meno dalle donne, e questo è un dato di fatto). Come fossero un grande grembiule, ecco. Da mettere in certi momenti, mica sempre. Difficile parlarne da maschio, ovviamente, senza aver mai vissuto un chador addosso. Nè voglio attirarmi eventuali accuse di semplicismo delle lettrici donne. Intendo solo dire che sotto una certa scorza, iraniani ed iraniane sono davvero come noi - prima di tutto emotivamente. A titolo di banale raffronto, la maggior parte delle donne arabe (e di quelle di certe zone dell’India, se è per questo) appare molto più chiusa all’universo maschile di quanto non accada alle donne iraniane.

Un gruppo di studentesse iraniane si affolla, in una qualsiasi moschea, attorno al visitatore occidentale. Si parla, si ride, ci si conosce. C’è grande curiosità. Molto più di quanto succeda in qualsiasi paese arabo, dall’Egitto all’Oman, per dire. Molto più di quanto accada in un Rajasthan indiano, per dire, se a coinvolgersi sono gruppi di donne.

Probabilmente, il tutto è legato al tasso di istruzione. Più c’è ignoranza, scarsa alfabetizzazione, e quindi impossibilità di apprendere quanto succede nel mondo, meno c’è apertura: ipotesi da dimostrare, ovviamente, ma secondo me funziona così.

E comunque, sotto la scorza le iraniane sono molto simili alle donne d’occidente. Lei sarà spesso intabarrata, okay. Ma solo in pubblico. In privato tutto in Iran è più libero. Non solo in famiglia, ma anche con gli amici. E con gli stranieri. E siccome le cose stanno cambiando in fretta, la seconda elezione di Rouhani lo grida chiaro, certi costumi verranno tritati in non molto tempo. Come già succede, soprattutto tra i giovani. Che in Iran erano già moderni all’epoca dell’ultimo Scià, la prima volta che visitai brevemente questo paese, negli anni settanta del secolo scorso. Che rappresentano ormai soprattutto una popolazione urbana, lontana dagli oscurantismi delle campagne. Che oggi fanno un uso dei social network, aggirando ogni censura, molto simile al nostro. In Iran Facebook è vietato ma tutti hanno un account.

Superati gli anni del peggiore oscurantismo donne e giovani sono riemersi, con le Rivoluzioni Verdi di cui Khatami è stata l’incompiuta espressione politica (il riformista Khatami fu portato al potere proprio da loro e qui sostenuto fino al 2005, per due mandati). La rivolta verde fu tale non solo in termini politici ortodossi, ma anche in termini di costume.

 

movimento verde iran 

Teheran, Iran. Il movimento verde dei primi anni 2000, che fu duramente represso dal regime degli ayatollah. Foto da internet

 Stroncati poi dai rigori dell’era Ajmadinejad, l’odiatissimo presidente delle invettive gratuite, oggi quei fermenti riemergono, anche se non si tratta più degli stessi giovani naturalmente. Come vi fossero due storie parallele, una politica, una del costume, se non fosse – come il ‘68 ha insegnato all’occidente, che il costume é politica.  E i suoi cambiamenti sono più profondi. Per dirla con un amico iraniano, un intellettuale di cui proteggo l’anonimato: “abbiamo civilizzato greci, romani ed arabi. Vuoi che non si riesca a liberarsi di quattro preti del cazzo?”.        

Ma tornando al body language. E’ vero, nella tradizione e nella prassi corrente in questo paese non ci si bacia tra persone di sesso diverso. E neppure un uomo dà la mano a una donna, secondo il costume rattrappito della Rivoluzione Islamica, e del resto secondo ogni tradizione asiatica.

Ma nell’ambito del turismo e delle relazioni amicali succede eccome. Di nuovo, basta scordarsi gli stereotipi con cui si arriva in Iran, e comportarsi secondo quel che viene naturale, e vedrai che reazioni.

La maggior parte della gente in Iran non si fa ingessare da censure comportamentali che sono state loro imposte ma che di solito non fanno parte della loro mentalità. Che spesso rappresentano soltanto il tiramento che l’ala fondamentalista per decenni al potere ha preteso di imporre a tutti, e che per questo si sono stampate nell’immaginario collettivo. Ma nei confronti del visitatore, per certe aperture non ci si offende. Allora si ride e si tollera, per certe gaffe non se la prende nessuno.

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Teheran, Iran. Nei pressi della stazione ferroviaria: buonumore. Foto Renzo Garrone

Cade il foulard a una signora italiana seduta a pranzo? Il proprietario del locale mi guarda un po’ preoccupato. Poi ammicca, indicando con un cenno del capo il ritratto sulla parete sopra di lui che ritrae appaiati Khomeini e Khamenei, mi chiama e dice sottovoce, puoi ricordare alla signora che lo rimetta? Tutto qui.

Sotto i governi precedenti, per cazzate del genere poteva arrivare la buoncostume. Oggi, con un bonario sorriso, poiché siamo pur sempre nel paese della Rivoluzione Islamica perbacco, si invita la signora a ricomporsi in quello che localmente rappresenta il decoro minimo. Niente di grave. Come ha ricordato lo stesso Rouhani, che è pur sempre un prete ma sembra anche persona di buon senso, i comportamenti della sfera privata, purché non sforino chissà quali contorni, non raggiungano chissà quali estremi, riguardano le persone stesse. La buoncostume? capitava senz’altro negli anni bui degli esordi della Rivoluzione, e in quelli tetri di Ajmadinejad. Ma durante i miei viaggii nell’Iran di oggi, tra 2015, 2016 e 2017, non mi è mai stato dato riscontrare nessuna intolleranza drastica. E spesso viaggiavo con donne occidentali.